Si può finire in carcere per delle foto sui social? A quanto pare sì, ma è possibile anche uscirne facendo ricorso. È quello che è accaduto a Baby Gang, in carcere dallo scorso aprile per aver violato la misura cautelare personale a causa della pubblicazione sui social media di contenuti legati al suo ultimo album L’angelo del male.
Baby Gang: le autorizzazioni
Il Tribunale del Riesame di Milano ha accolto il ricorso, presentato dall’avvocato Niccolò Vecchioni, concedendo a Baby Gang la scarcerazione e il ritorno agli arresti domiciliari. La Corte d’Appello di Milano aveva aggravato la misura cautelare per il rapper perché, mentre era ai domiciliari con braccialetto elettronico, avrebbe pubblicato “fotografie su Instagram” nelle quali veniva “ritratto mentre impugna una pistola”, finta, “che punta verso l’obiettivo”.
Secondo i giudici del tribunale della Libertà (collegio Galli-Buzzanca-Alonge), seppure i “contenuti” per promuovere le sue canzoni “depongono negativamente” e “denotano” che “non ha mai inteso prendere le distanze e anzi sembra voler continuare ad alimentare un’immagine di sé” inserita “in uno stile di vita illecito”, si tratta di foto e video “riconducibili” alle sue “scelte espressive” nell’ambito “dell’esercizio dell’attività lavorativa che comunque egli è stato autorizzato a svolgere”.
Stando ai giudici, i magistrati d’appello non avrebbero tenuto “conto” del fatto che il trapper fosse “stato autorizzato” dalla stessa “Corte” e “dal Tribunale prima” a “derogare sia all’obbligo di permanenza al domicilio” e al “divieto di comunicare con soggetti terzi”. Infatti, a Baby Gang erano state concesse diverse “autorizzazioni” per “lo svolgimento dell’attività lavorativa” e in particolare “shooting fotografici, la produzione di videoclip” oltre a “prevedere espressamente la possibilità di incontrare, presso il domicilio, uno dei propri collaboratori”.
Baby Gang: gli oggetti di scena
Nell’udienza tenutasi martedì, la difesa di Baby Gang ha sostenuto che le immagini riguardano l’attività promozionale per l’album, dimostrando che gli oggetti incriminati (pistola e marijuana finte) siano materiali di scena regolarmente fatturati. Il rapper avrebbe sempre “lavorato previa autorizzazione” come dimostrerebbe il suo “percorso autorizzativo”.
Secondo i giudici, “non è stato dimostrato” che sia stato Baby Gang stesso a postare materialmente i contenuti sui social, poiché è stato presentato il contratto di lavoro del suo manager con il quale era stato autorizzato dai giudici a lavorare. Come indicato nel provvedimento che ha accolto l’istanza difensiva, anche se la condivisione dei post fosse stata su “specifica istruzione” del rapper, non ci sarebbe stata “trasgressione”. Durante l’udienza, il rapper aveva paragonato la situazione a quella di una pellicola:
«È come se si prendesse un attore che fa film di azione e lo si mettesse dentro».
Lunedì, invece, sotto scorta degli agenti della penitenziaria, Baby Gang si era presentato nell’aula al piano terra del Palazzo di Giustizia di Milano, ammettendo confusione e sottolineando che la sua attività artistica è distante dalle accuse:
«Voglio solo dire che sono confuso, mi sembra di aver rispettato le prescrizioni, mi si sanziona quello che faccio sotto il profilo artistico che non ha nulla a che fare con i fatti contestati».